venerdì 25 aprile 2008

Il duello

venerdì 25 aprile 2008



Ciao, sono la tua ostinata voglia di sognare
Ehi, fermo, che cazzo vuoi fare?
Mi vuoi ammazzare?
Sono io che ti ho salvato sempre
Tutte quelle volte che ti hanno fatto lo sgambetto
Tutte quelle volte che ti hanno colpito al cuore
Tutte quelle volte che sei caduto
Deluso
Stanco
Arrabbiato
Triste
Tutte quelle volte
Ogni volta sono stato io quello che ti ha teso la mano
E che ti ha fatto rialzare


Ma sei stato anche tu quel fottuto stronzo che mi ha fatto cadere
Tutte quelle volte
In cui mi ero illuso che per una volta potesse andare bene
Tutte quelle volte
In cui ho sognato che ci fosse qualche speranza
E’ per te che cado
E poi mi fai rialzare
Per farmi cadere un’altra volta

Povero sciocco!
Se mi uccidi morirai anche tu
Sono io la tua linfa vitale


Non sei la mia vita, sei il morbo che la impesta
Sei il mio male di vivere, la mia maledizione
Offuschi la mia mente con pensieri
Che cavalcano e cavalcano
Su altri pensieri
Sempre più veloce, sempre al limite
Solo quando i pensieri poi si trasformano in lacrime ho conforto

Allora spara!
Così cadrai per l’ultima volta


E sparo
E cadiamo
Io da una parte e lui dall’altra

Poi mi sveglio, mi alzo dal letto
Entro in bagno, mi lavo la faccia
Vado in cucina a prendere un caffè e leggere il giornale
Poi guardo l’orologio e vado a lavorare

Le scelte non sono fatte per risolvere problemi
Ma per decidere quali problemi risolvere

lunedì 7 aprile 2008

La caverna

lunedì 7 aprile 2008

Fu così che Lili mi lasciò nell’oscurità. Avevo paura, e i pensieri mi circondavano coprendo il silenzio e il buio. Mi voltai per un’ultima volta e vidi Lili che abbandonava la caverna. Aveva un lungo vestito bianco, un passo leggero ed elegante, i capelli lunghi sciolti che scendevano sulle spalle. Si voltò e mi sorrise. Era bellissima, bellissima. E malinconica. Si girò di nuovo e andò. Sarei riuscito a vederla ancora? Non importava molto ora. Dovevo risolvere una questione molto importante senza di lei.
Mi girai di nuovo verso il buio e cominciai a camminare. Pian piano i passi diventarono più decisi, e fu allora che cominciai a vedere chiaro. Anzi, mai vidi più chiaro in tutta la mia vita. Una mano, il cui braccio era attaccato sulla parete alla mia destra, mi chiamò ad alta voce e mi disse: “Forestiero, fermati. Prima che tu vada avanti ci sono delle cose molto importanti che devi sapere.”. La cosa curiosa era che i denti della mano erano tutti incisivi, perfettamente allineati l’uno con l’altro, e aveva delle labbra molto belle e carnose. Mi fermai ad ascoltarla.
“Innanzitutto le cose non sono come sembrano.”
“Va bene”, le risposi.
“Secondariamente, e conseguentemente, tutto può essere il contrario di tutto. Ricordalo prima di entrare.”
“Lo farò.”
“E terzo: non c’è due senza tre.”
“Molte grazie.”
Proseguendo mi accorsi che spesso sulle pareti apparivano delle ombre, e ogni tanto sui muri c'erano delle scritte, in diverse lingue. Molte erano in greco o latino, ma ce n’erano parecchie anche in tedesco e cinese. Erano tutte sorprendentemente ragionevoli e d’effetto, ma le dimenticavo presto.
Alla fine della caverna sulla parete c’era una porta. Un’etichetta diceva che quella era la casa della Ragione. C’era un batacchio per bussare. Lo usai.
“C’è la Ragione?”
“No, non c’è”, disse seccamente la porta, “E’ andata al bar.”
“Quale bar?”
“Quello più vicino a qui.”
“Mi sembra ragionevole.”
“Lo è. Arrivederci.”
“Arrivederci.”
La porta mi rispose in modo fin troppo secco. La oliai un pochettino, e i suoi modi cambiarono radicalmente.
“Grazie mille! Lei è un gentiluomo, ora smetterò di cigolare. Il bar si trova a cinquanta metri a sinistra della caverna.”
Così uscii dalla caverna e mi recai al bar più vicino. Aveva dei grandi finestroni, e si poteva vedere dentro. Un uomo e una donna molto vecchi stavano discutendo molto animatamente all’interno. Quando fui dentro capii che la vecchia signora era la Ragione, e stava litigando con un altro signore anziano, di nome Torto.
Parlavano di una questione che sembrava essere molto antica, che si protraeva stancamente fino ad oggi da molti anni, senza soluzione. Il signor Torto sosteneva che in realtà non era quello il suo nome, e che era stato scambiato per sbaglio all’anagrafe con quello della signora Ragione da un’impiegata distratta che li aveva registrati nello stesso momento. Pareva, infatti, che i due fossero nati nello stesso identico giorno alla stessa identica ora. Non sembravano aver raggiunto il minimo accordo sulla faccenda.
Ad un certo punto si fermarono per un po’ di tregua, e il signor Torto si avvicinò al bancone per chiedere da bere. Io ne approfittai per andare a parlare alla signora.
“Buongiorno. Vedo che è un po’ stanca. E’ molto battagliera, ho notato. Potrebbe combattere molto bene in guerra, signora Ragione.”
“Nessuna guerra e nessun esercito mi avranno mai.”
“Sa, la stavo cercando, signora.”
“Davvero? Strano, di questi tempi nessuno mi cerca più tanto spesso. Chissà come mai.”
“Beh, io ce l’ho un motivo per cercarla. Ultimamente sono un po’ in crisi, non riesco a dare senso alla mia vita, a quello che faccio. Tutto mi sembra così casuale, senza senso. Lo faccio per abitudine, quasi meccanicamente. Sono stufo. Mi hanno detto che lei è brava a risolvere queste questioni.”
“Ah, giovanotto, lei è molto gentile. Mi sta molto simpatico. Anzi, diamoci del tu d’ora in poi. Ehi, Gastone, porta un amaro al ragazzo qui!”
Il barista fu molto efficiente.
“Grazie mille, non dovevi.”
“Prego. Ma purtroppo non posso aiutarti molto in questo caso. Vedi, la vita non è sempre molto ragionevole e lineare. E non sempre ha un solo senso.”
“Dici che dovrei pensare più ai sentimenti?”
“Certo, anche quello. Ma soprattutto sei tu che decidi quali sono i significati della tua vita. Non posso decidere io, ne nessun altro al posto tuo. E se mentre fai una cosa ti accorgi che per te non ha senso, che non provi niente, allora cambia!”
“Accidenti. Ma non è mica così facile!”
“La vita non è facile, Benvenuto nella vita! Ora pensa al tuo cuore. Dove andresti ora se lo seguissi?”
Pensai a quanto fosse meraviglioso rendere felice Lili. E tornai a casa da lei.

domenica 6 aprile 2008

Viva il teatro dove tutto è finto e niente è falso

domenica 6 aprile 2008

Questa che segue è un'apologia della maschera, volta a smontare clichè molto radicati. E' stata ispirata da un discorso fatto da un mio amico attore, di nome Nicola, con cui ho anche fatto un paio di spettacoli teatrali amatoriali che lui stesso ha diretto.

Ma che dici Nicola? L’attore è la persona più vera di questo mondo? Ma dai! Stai recitando anche ora? Scusami, ma l’attore è colui che finge per antonomasia. Prende un testo, che di solito non ha neanche scritto lui, lo impara a memoria, studia sulla sua interpretazione e poi lo porta sul palcoscenico. Finge! Ha una maschera! Non può essere la persona più vera di questo mondo, anche se è tanto preparato e sa tutto delle tecniche teatrali! No?
No. Non è così, non è così semplice se ci si pensa bene. Hai ragione, caro Ciaffoni. Forse per chi non ha mai recitato questo è un concetto un po’ ostico. Non che io sia il nuovo Vittorio Gassman, ma quel poco di esperienza che ho mi ha permesso di notare alcune cose.
L’attore è vero, anche quando recita. Perché non è la semplice somma degli anni di accademia teatrale che rendono bravo un attore. Perché, come dici tu, per recitare, ci vuole testa, cuore e viscere. Cioè in tutto e per tutto gli stessi elementi che usiamo nella vita di tutti i giorni. Solo che in più a teatro diventi cosciente di questi tre elementi.
Un attore bravo, un attore che sa trascinare il pubblico quando è sul palcoscenico, che riesce ad appassionare chi gli sta davanti, non è falso. Se sa dare forza alle sue parole, ai suoi gesti e a trasmetterli agli altri vuol dire che crede in quello che dice. Che non mette solo la testa nella recitazione, ma tutto se stesso. Lui, in un certo senso almeno, è il personaggio, non fa finta.
A teatro solo il succedersi degli eventi è finzione, ma i significati e i valori sono assolutamente reali e vivi se si è pronti a coglierli.
Qui però bisogna chiarire il concetto di maschera, che è un termine che può essere facilissimamente frainteso, o, meglio, a cui si tende a dare solo la valenza negativa. Infatti la cosa più banale e automatica che ci viene in mente pensando alla maschera è la falsità: immaginare qualcuno con una maschera vuol dire pensare che si sta coprendo, che sta mostrando qualcosa che non corrisponde a se stesso. Questo naturalmente può essere vero, le persone spesso usano delle maschere per nascondersi o mostrare cose non vere. Ma non è necessariamente così.
Questo è un punto focale perché sposta l’attenzione non sulla maschera in se, ma su come la si usa. La maschera può essere anche, quindi, uno strumento per potenziare se stessi, per dare più vigore a quello che si vuole veramente dare agli altri, in modo che essi lo recepiscano. Questo è il senso che Nicola da alla maschera, e così di conseguenza alla grammatica, alla dizione e alle altre tecniche teatrali. Non ha un senso negativo di falsità, ma un altro valore, positivo. Cioè come strumento per essere noi stessi così come davvero desideriamo. Basti pensare a quanto ci si sente liberi e disinibiti quando indossiamo un costume ad una festa. La maschera da la possibilità di liberarsi di alcuni schemi sociali che possono impedire la nostra realizzazione.
Attore etimologicamente significa “colui che agisce”, ovvero, interpretando un pò, colui che rende agito, reale, cioè che fa. In fondo siamo tutti attori, insomma. E la differenza che c’è tra attore vero e attore falso è la stessa che c’è tra persona vera e persona falsa.
Inoltre imparare le tecniche della recitazione è un modo per conoscere se stessi. Facendo teatro si conoscono gli aspetti che vengono di solito dati per scontati: impari a conoscere la tua voce e fare attenzione all’intonazione e l’intenzione che gli dai; a capire il tuo modo di muoverti, di camminare, e anche il tuo modo di stare zitto.
Ho solo accennato ai significati psicologici e sociali della maschera, perché non è l’obbiettivo principale del mio scritto. Per chi voglia approfondire questi temi suggerisco di leggere i testi di Erving Goffman, su tutti “La vita quotidiana come rappresentazione”, o anche approfondire il pensiero di Luigi Pirandello.
E ora torniamo a pensare ad un attore concreto, che sta recitando sul palcoscenico. Quello bravo, che crede in se stesso e a quello che dice, e non ripete a memoria solamente. L’effetto al cuore del pubblico è assicurato.
E così tu spettatore crederai a quello che dirà Amleto al cranio di Yorick (attenti, non è “essere o non essere” come si crede). Così sentirai l’amore di Romeo per Giulietta. Amerai il pianoforte di Danny Boodman T. D. Lemon Novecento, e magari ti verrà anche voglia di farti un viaggio in crociera verso l’America. Così, come hai detto tu l’altra sera Nicola, Benigni, seppur non puro attore di teatro, riesce ad appassionare migliaia di persone con il suo profondo amore per la Divina Commedia.
Questa sensazioni se non sono sentite dal recitante non sono sentite neanche dal pubblico.
Un Romeo che recita semplicemente a memoria le battute alla sua Giulietta non vi sembrerà più colpito dalla freccia di Cupido di un impiegato delle poste il lunedì mattina.
E’ banale dirlo, ma questa differenza vale per tutte le cose della vita. Perché puoi studiare il pianoforte in conservatorio per dieci, venti anni, ma, se non ci metterai il cuore, sarà solo una sequenza più o meno ordinata di note. Chi avrà voglia di ascoltarti se sei solo un tecnico? Se sei li, ma ti chiedi come diavolo ci sei finito?
Basta crederci, insomma. Poi, certo, un attore (ma anche un ingegnere, un insegnante, uno psicologo, e via dicendo) deve conoscere la teoria e la tecnica. Ma senza una motivazione profonda, tanta strada non ne farà.
Per far sì che la gente ti ascolti, devi dar forza alle tue parole.
Se non fai così come farai a convincere quella brunetta che ti piace tanto a prendere un aperitivo insieme a te? Già immagino la scena.
“Ti faccio sapere. Scusa ma ora devo proprio andare, ho… Ehm…Un appuntamento… dal dentista”
“Ma sono le dieci di sera”
“Eh si, sai com’è… E’ uno di quei tipi attaccati al lavoro…”
Beh, ma poi il Bardo aveva ragione, inutile negarlo. Tutto il mondo è un palcoscenico.

sabato 5 aprile 2008

Il silenzio blu

sabato 5 aprile 2008

Vede signora, è tutto questo. Tutto questo rumore. Per nulla poi! Qua si discute se il cavallo di Napoleone era più bianco della candeggina; litigi, bisticci, lotte tra razze, pesci di tutti i tipi che nuotano nel buio più totale. Non vedono proprio un accidente! Neanche se ci sbattessero contro se ne accorgerebbero.
Sono un po’ stufo di queste chiacchiere. Insomma, le pare che mi faccia coinvolgere in queste bambinate? Ma certo che no. Ecco, vede, qui non c’è nessuno che ascolta, sentono e basta, e ascoltano quello che vogliono ascoltare. Ma il bello è che poi ti riempiono con un fiume di parole, una cascata di frasi, una più uguale dell’altra. E tu devi starli ad ascoltare, perché poi succede il finimondo. Intanto le parole perdono di significato, diventano qualcosa di cui liberarsi.
Ma le parole sono magiche. Non vanno buttate via così.
Ah, signora mia. Il silenzio lo sanno usare solo in pochi per dire qualcosa. Per molti è solo una pausa. Sa, per riprendere fiato, risparmiare le forze per il prossimo conato di parole.
La domenica io mica vado a messa, a sorbirmi qualche altra chiacchiera. E poi, dannazione, io faccio il mestiere che ha le parole più brutte del mondo! L’avvocato! Usucapione, debito, prelazione, anticipo, violenza carnale, danni morali, responsabilità patrimoniale, assassinio, concorrenza, illecito, abusivo, garanzia, rescissione.
No, no. Vado al mare.
Sa, c’è una bella spiaggetta, incastonata tra gli scogli, lontana dalle folle. Una perla. La sabbia è fina fina. Alle spalle ci sono le rupi che scendono a strapiombo, che in cima sono incoronate da arbusti e fichi d’india. Ma le cose più straordinarie sono sottacqua!
Tuffarsi è meraviglioso. Un rito di passaggio, dalla terraferma al liquido mondo alieno. Non c’è più la gravità e mi muovo in tutte le direzioni. I rumori sono attutiti ed ovattati. E io nuoto, vago per i fondali, tra gli scogli e le alghe, mentre esseri di tutti i tipi mi passano accanto. E poi guardo in fondo, verso l’orizzonte, e il blu diventa acceso, intenso, profondo.
Laggiù regna il silenzio. Il silenzio blu.
 
Design by Pocket