giovedì 18 settembre 2008

La dimensione della mente, il tempo: parte II. La narrazione e la mente tra passato, presente e futuro

giovedì 18 settembre 2008

(segue...)

Un problema è formato da una domanda e da una risposta. Ma se la domanda non serve alla risposta che vogliamo, ci domanderemo delle cose che risolveranno il problema sbagliato.
L’antroposofia, che si autodefinisce una scienza spirituale e che quindi non c’entra nulla ne con la fisica e la chimica, ma neanche con la psicologia odierna, dice che viviamo costantemente nel soprasensibile:

“Viviamo continuamente immersi nel sovrasensibile, avendo in questo, inconsciamente, il nostro massimo valore. Non lo sappiamo semplicemente perché non abbiamo una cultura in grado di dare un nome corretto alle cose che pur sperimentiamo.
Ci sono osservazioni molto semplici che ognuno può compiere su sé stesso e che lo porterebbero all’inizio di quella strada di conoscenza che porta a poter affermare quanto detto. Le più semplici e ripetibili iniziano con la osservazione della nostra vita di pensiero.

Esperimento: Ci si metta seduti e comodi e si evochi di fronte alla propria vista interiore l’immagine di qualcosa di molto pesante; ad esempio un automobile o un martello. Già mettendoci in questa posizione possiamo fare le osservazioni più elementari: ci si chieda quale è la natura dell’oggetto/immagine che così osserviamo e quale sia l’organo di percezione che utilizziamo per vederlo.

Sulla natura dell’oggetto possiamo fare le seguenti osservazioni:
ha aspetto e forma sensibile/ materiale, però:
non è sottoposto alla forza di gravità, non cade a meno che noi non lo immaginiamo cadere; e sottoposto unicamente alla forza della nostra volontà e immaginazione, le quali per altro lo possono trasformare nel colore e nella forma;
non è sottomesso alla legge della incompenetrabilità dei corpi: possiamo benissimo immaginare due automobili una dentro l’altra o due martelli che occupano lo stesso volume di spazio

Conclusione: l’oggetto osservato non è fatto di molecole e atomi; si presenta inequivocabilmente come qualcosa dall’aspetto sensibile/materiale ma non appartiene al dominio della materia.”

Questo è un pezzo tratto da una rivista di antroposofia. Poi lo scrittore va avanti dicendo che questo oggetto è percepito da un organo di percezione che “si colloca in corrispondenza della ghiandola pituitaria, fra le sopracciglia ed il centro del capo.”
Su questa conclusione non posso essere d’accordo perché è un passo non dimostrato. Perché è la ghiandola pituitaria? L’antroposofia sembra soprassedere su questo problema.
Sulla parte citata tra virgolette sono invece d’accordo: i nostri pensieri non hanno natura materiale, non sono pieni di materia, ma di significato.
Poiché non sono materiali, a mio modo di vedere, chiedersi dove sono i significati non ha senso. Se non sono materiali, dove possono essere?
E’ molto semplice: non hanno luogo e non ha senso chiedersi dove possa essere un pensiero, perché esso non è nella nostra testa. Non è tra le ossa del nostro cranio. Le categorie di spazio e di luogo non ci servono, non c’entrano nulla con il problema “mente” e dei punti fisici a cui far riferimento non ci sono. Non corrisponde ne ad un neurone ne ad un insieme di neuroni. Se non ha un luogo a cui far riferimento non ha senso neanche dire che un’idea sia nella testa di una persona o di un’altra.
La mente può avere altre origini non fisiche. Forse uno dei problemi del dualismo mente/corpo è proprio questo. In qualche modo si è sempre cercato, implicitamente, di ridurre la mente al cervello (tra l’altro non mi risultano tentativi di riduzione in senso opposto).
Ma se i pensieri della cosiddetta mente non sono in un qualche luogo, non sono fisici, come può la mente, che è concepita come loro contenitore, essere nella testa di qualcuno?
Diamo per scontato che la mente sia nella nostra testa. Ma forse le categorie di spazio e luogo non c’entrano con la mente. Il problema mente/corpo finora per essere risolto è stato circoscritto nello spazio fisico. Più o meno inconsapevolmente in tutte le teorie viene dato per scontato che comunque la mente stia nel corpo, sebbene sia una cosa diversa.
Io propongo un’idea diversa: il mio io nello spazio è il mio corpo, il mio io nel tempo è la mente.
Il corpo agisce sullo spazio, la mente nel tempo. Mentre il corpo forma e modifica oggetti, la mente forma e modifica storie. L’io spaziale, ovvero il corpo, si muove nel mondo fisico attraverso i cinque sensi e lo modifica. L’io del tempo, la mente, si muove nel mondo temporale e lo modifica.
La nostra mente non può lavorare solo sui dati certi fornitici dai nostri sensi e dalla nostra percezione. Altrimenti vivere sarebbe solo un continuo hic et nunc, senza memoria ne prospettiva.

Amleto:
“…Che cos’è mai un uomo
se del suo tempo non sa far altr’uso
che per mangiare e dormire? Una bestia.
Colui che ci ha dotati di una mente
sì vasta da vedere il prima e il dopo,
non ci largì questa capacità,
ed il divino don della ragione,
perché ammuffisca senz’essere usata…”


La grande capacità della mente è quella di muoversi nel tempo, tra passato, presente e futuro. Lavora su dati che non sono presenti nel campo percettivo.
Il tempo è la dimensione del pensiero, dove si trovano i significati.
La memoria, infatti, con tutte le sue possibilità (retrospettiva, prospettiva, autobiografica, semantica, eccetera) è la capacità del pensiero umano forse più basilare di tutte. E’ che cos’è la memoria se non un continuo muoversi nel tempo, tra passato, presente e futuro?
La memoria è la base dei nostri processi mentali, da cui partono le nostre congetture e interpretazioni. In essa vi sono gli oggetti del nostro pensiero e anche i legami di significato tra di essi. Lavorando sulla memoria lavoriamo sui nostri pensieri.
Si cambia il significato delle storie, aggiungendo dettagli mai avvenuti, togliendone altri, modificandone altri ancora. La psicologia più volte ha infatti mostrato come le persone effettuino, per lo più inconsapevolmente, delle distorsioni cognitive nei ricordi, rendendoli coerenti con una storia che possa essere verosimile. Oppure dimentica dei fatti considerati irrilevanti o dannosi.
La mente agisce anche nel futuro: si costruisce un’aspettativa, un corso possibile di accadimenti. Attenzione, perché ciò che sto dicendo non vuol dire che possiamo prevedere il futuro. Questo non è un articolo sulla divinazione.
Quello che può fare la mente umana è crearsi un’aspettativa verosimile per il futuro, per essere, diciamo, più preparati. Inoltre nel futuro noi stessi potremo agire in favore dell’avvenimento di quella aspettativa. Sia che si tratti di qualcosa che desiderava, come l’aumento di stipendio, sia che si tratti di qualcosa che non desiderava: è il caso delle cosiddette “profezie che si autoavverano”. Frequente è il caso in cui qualcuno predice un suo possibile fallimento e, rattristandosi e scoraggiandosi, non fa più tutte le cose che gli permetterebbero di raggiungere il risultato o le fa comunque in modo poco motivato: ed ecco che la profezia si avvera, ma non perché siamo dei chiromanti. Anche qui questi processi mentali molto spesso sono inconsapevoli.
Infine il presente, momento di massimo contatto col mondo fisico. Anche qui i pensieri si muovono attraverso le stesse interpretazioni e regole narrative che usiamo per passato e futuro.
L’hic et nunc, il qui e ora, è un concetto di fondamentale importanza, perché è il momento di fusione totale tra la nostra mente ed il nostro corpo.
Come agisce la mente per interpretare ciò che arriva dai cinque sensi e dallo spazio fisico nel presente?
Mutuando l’idea di pensiero narrativo di Bruner, infatti, possiamo capire come il nostro presente vada oltre la semplice percezione attraverso i sensi.
Con i nostri pensieri noi interpretiamo il mondo e gli avvenimenti e gli diamo un significato. Uno schiaffo, a seconda dello stile narrativo, può essere interpretato in molti modi.
Il nostro modo di vivere dipenderà quindi dal nostro modo di raccontarci, dallo stile narrativo della nostra biografia. Non valgono in questo caso le leggi fisiche, ma le leggi ermeneutiche e narrative.
L’autobiografia avrà, dunque, una sequenza di eventi uniti da una coerenza interna che gli da un significato unico.
Noi siamo davvero come i personaggi principali del nostro romanzo. Un libro, in fin dei conti, è il modo di uno scrittore di interpretare una serie di eventi.
La narrazione è un vero e proprio dispositivo conoscitivo ed ermeneutico, che guida il nostro esperire e si muove nel tempo. Di conseguenza anche il comportamento, l’agire, sarà coerente con la narrazione. Le nostre azioni nell’hic et nunc saranno coerenti con l’immagine di noi stessi che è stata creata dalla narrazione.
Infatti la narrazione, oltre che processo conoscitivo ed ermeneutico, è anche un processo mentale che permette la continua costruzione e conoscenza di noi stessi. Noi siamo gli attori principali della storia, e saremo coerenti ad essa. La nostra storia, costruita da eventi legati da significati, ci costruisce, creando il sé.
Insomma, nella mente e nel tempo le regole sono diverse, altri i processi ed i legami tra le cose. Gli oggetti di pensiero sono legati agli altri mediante legami di significato, non di causa.
Come abbiamo visto nella prima parte, le cause non sono mai state sufficientemente adatte a spiegare la mente umana (vedi l’esempio del topo arrosto). Queste mie ipotesi sono un tentativo di mostrare una nuova via per la comprensione della mente e un’altra possibile prospettiva per la psicologia.

(continua...)

sabato 13 settembre 2008

La dimensione della mente, il tempo: parte I. Psicologie: cause e significati

sabato 13 settembre 2008

Il nostro modo di concepire e spiegare il mondo è simile a quello delle scienze naturali. Queste, infatti, spiegano i fenomeni mediante relazioni di causa-effetto. Se ci chiediamo il perché di un qualsiasi evento, andremo a cercarne la causa che lo ha provocato. Questo modo di pensare è chiamato meccanomorfismo, proprio perché gli eventi sono lungo una catena di eventi causa-effetto, come all’interno di una grande macchina che funziona con determinati meccanismi prestabiliti.
Perciò anche le nostre azioni hanno una causa, e risalendo di causa in causa si arriverà ad un Big Bang madre di tutte le cause. Le nostre azioni sono quindi il frutto di concatenazioni di eventi causali e tutto è spiegabile mediante questi nessi. Anche il mio scrivere qui è frutto di questo meccanismo, che è inevitabile e necessario.
Questo è il modo di pensare delle scienze classiche. Esiste un metodo scientifico ed obiettivo per spiegare la realtà. Questa realtà è ontologicamente esistente al di fuori di noi, ed è conoscibile mediante metodologie empiriche. Lo scienziato, utilizzando queste metodologie, dovrà tener conto solo dell’evidenza sensoriale.
Le scienze, così, hanno spiegato milioni di fenomeni, misurato distanze, costruito meccanismi, eccetera. E se ci sono eventi non ancora spiegati, questo vuol dire che le nostre metodologie e di studiarli non è ancora adeguato. Quindi la spiegazione c’è, ma ancora non siamo pronti a scoprirla.
Anche la scienza psicologica vuole spiegare i fenomeni mediante relazioni di causa-effetto. Questo però ha creato innumerevoli problemi alla psicologia, non solo metodologici, ma anche e soprattutto epistemologici. Cos’è la psicologia? Qual è il suo oggetto di studio? Cos’è la psiche? Cos’è la mente?
Misurare l’altezza con un metro è cosa piuttosto semplice. Voler misurare la tristezza, l’estroversione, l’intelligenza con metodi obbiettivi è cosa invece piuttosto ardua. Infatti in psicologia non abbiamo un metodo univoco per misurare queste caratteristiche. Ad esempio ci sono molti test d’intelligenza, che utilizzano domande differenti per poi giungere a differenti punteggi, non confrontabili fra loro. I punteggi delle scale d’intelligenza, così come quelli di altre scale che misurano altri aspetti psicologici, sono delle brutte copie mal utilizzate del metro per l’altezza. Poi il concetto d’intelligenza cambia da test a test. In questo caso infatti possiamo vedere come i problemi stiano proprio alla base. Non si è d’accordo neanche su cos’è l’intelligenza. Come possiamo misurarla allora, e pretendere di essere obiettivi?
Un altro caso importante è quello della psicologia clinica. Infatti essa è perlopiù basata su modelli medici, ovvero esistono delle malattie mentali che hanno un’eziologia, un decorso e un esito. Insomma anche qui si è all’interno di una visione meccanomorfica, con relazioni causa-effetto. Ma qui cominciano i guai, perché in effetti le cause non si riescono mai a trovare in maniera effettivamente obbiettiva e scientifica. Per esempio la causa della depressione può essere un lutto familiare. Ma non tutti i lutti familiari portano ad una depressione, che può derivare da molte altre circostanze, può non dipendere da un evento visibile. E così anche altri aspetti della psicologia clinica. Voglio dire che si vuole cercare un meccanismo causale simile a quello che porterebbe ad una malattia organica, come una febbre. Ma questo meccanismo sfugge, cambia da caso a caso, non si trovano delle cause certe e dei processi comuni.
Un altro problema della clinica è che spesso si cade nell’errore di fare delle tautologie: “come mai sei depresso? Perché sono triste”. “Perché sei triste? Perché sono depresso.” E’ molto semplificato ed ironizzato, ma a conti fatti quello tra virgole può essere un riassunto di quello che dice il maggiore manuale di psicodiagnosi, il DSM-IV.
Il problema quindi sta alla radice, è il dualismo mente-corpo, che non è stato mai risolto. Nell’ultimo secolo poi si è molto cercato di ridurre la mente al corpo, almeno per ora inutilmente.
Volendo competere con altre scienze dalle basi già consolidate, si sono usate teorie, termini e metodologie spesso fuorvianti e non adatti.
E’ evidente, dunque, che lo studio della psiche ha dei problemi d’identità, e per una scienza che si propone invece di risolverli è il colmo. Negli ultimi anni però diversi studiosi stanno cercando di dare alla psicologia delle basi epistemologiche solide, dirigendosi verso altre direzioni poco esplorate.
La nuova prospettiva epistemologica è quella propria delle scienze postmoderne. Il cambio di prospettiva è semplice ma decisivo, in quanto si afferma che per la psicologia le relazioni di causa e il meccanomorfismo non sono adatti a spiegare gli eventi psichici. Questi invece hanno un altro genere di relazione: la relazione di significato. Ciò vuol dire che questi eventi non sono riconducibili ad eventi fisici, ma hanno un’altra realtà a loro peculiare. Le persone agiscono in base al senso che si da alle cose, alle emozioni legate ad esse, ai ricordi, al contesto, eccetera.
Secondo l’interazionismo simbolico le persone agiscono verso le cose sulla base di un significato, e questo sorge dall’interazione sociale. Il significato quindi è sempre in continua creazione e modificazione. La fucina in cui prendono vita i significati è il confronto con l’alterità, con l’altro da sé, che avviene nell’interazione con il mondo che ci circonda. Attraverso l’interpretazione poi i significati vengono modificati.
La psicologia ha allora il compito di studiare i significati che guidano le azioni degli individui. Qui si vede come questa visione antropomorfica si opponga al determinismo meccanomorfico: le azioni degli individui non sono frutto di una serie di meccanismi di causa. La realtà fisica è diversa da quella simbolica. Vi offro un esempio che mi è stato fornito durante una lezione universitaria, molto calzante: entriamo in una cucina e sentiamo un profumo delizioso. Ne cerchiamo la fonte e quando la troviamo ci accorgiamo che è un topo arrostito. A questo punto ci passa completamente l’appetito. Eppure la realtà fisica è di un altro avviso, la nostra percezione olfattiva ci dice che quel topo ha un buon odore, e magari anche un buon sapore. Poi gli facciamo anche un’analisi approfondita e scopriamo che è pulito e commestibile. Perché non lo mangiamo? Perché quel topo, nella nostra società, corrisponde ad un significato ben lontano dalla parola commestibile e men che meno dalla parola appetitoso. Qui vediamo come il comportamento umano e la psicologia possano essere molto più facilmente spiegati mediante relazioni di significato tra idee, piuttosto che da meccanismi puramente fisici.
Non intendo assolutamente negare solipsisticamente l’idea di un mondo fisico e dire che tutto è un’illusione, non è mio obiettivo neanche occuparmi dell’esistenza di un mondo fisico. Quello che voglio mettere in evidenza è il fatto, esista o meno un mondo fisico, che viviamo muovendoci tra più dimensioni, tra cui quella fisica è solo una delle tante.

(continua...)

martedì 2 settembre 2008

Vocabolario della vita quotidiana: volontà

martedì 2 settembre 2008

Alla base di tutto sta la volontà. Al nocciolo, dopo aver mangiato tutta la pesca, quello che rimane è la volontà. Le nostre azioni sono guidate da essa. Ciò che vogliamo è importante, il nostro desiderio.
Il problema è che la volontà è spesso nascosta, anche a noi stessi. Agiamo conformemente ad essa senza accorgercene.
Viene coperta da altre cose. Dal torto e dalla ragione ad esempio. Chi ha torto e chi ha ragione è veramente importante? Due amici litigano. Uno ha torto, l’altro ha ragione. Ciò che risolverà la questione non sarà la razionalità, il pensiero logico, che come giudici stabiliranno il colpevole. Ciò che conterà sarà la volontà di entrambi di risolvere la questione e di rimanere amici. Se vogliono rimanere amici, lo rimarranno, chiunque abbia il torto o la ragione, e qualunque sia il fatto accaduto. Il resto sono parole, discussioni, che poi si dimenticheranno.
Oppure la giustizia. La giustizia non è nulla in confronto alla volontà. Ciò che sarà giudicato giusto o sbagliato dipenderà da quello che vogliamo. Da quello che voglio io, tu, noi, voi.
La razionalità e la logica non c’entrano. La logica delle azioni di una persona può essere coerente con la sua volontà. Ma a volte non lo è e le due cose sono scisse. La volontà può andare in direzione totalmente opposta a quella del ragionamento. Il ragionamento può giustificare la volontà, oppure nasconderla. Potrebbe anche cambiarla. Solo se non rimane puro ragionamento, se riesce a colpire in profondità.
E’ più facile cambiare il pensiero di qualcuno, piuttosto che la sua volontà. E’ difficile confrontarsi e scontrarsi con essa.
Se vogliamo veramente una cosa, riusciremo a prenderla.
Se non ci riusciremo, non ci dovremo preoccupare, perché abbiamo provato ad averla, e il fallimento non sarà dipeso da noi. D’altra parte non siamo onnipotenti, ed il mondo è grande e ci sono altre volontà.
Oppure non la volevamo veramente.
A volte, noi esseri umani ci sentiamo in colpa dopo che non siamo riusciti ad avere qualcosa. Dispiacersi è giusto, sacrosanto. E’ naturale sentirsi tristi se qualcosa non riesce. Prima o poi passerà. Ma sentirsi in colpa? Denigrare se stessi? Cosa abbiamo fatto per meritarcelo?
Nel senso di colpa sta un sentimento di responsabilità per ciò che è successo. Se ci sentiamo in colpa per non essere riusciti a raggiungere quello che volevamo, almeno consapevolmente, c’è qualcosa che non va. Forse che non lo volevamo veramente. Forse che una volontà c’era, ma non era la nostra.
No, certo. Non è solo per quello. Qui c’entra la paura, che ha volte può essere più forte della volontà. Ma anche qui sta una scelta, un desiderio nascosto. Ad esempio il desiderio di non vivere una delusione. C’è volontà nell’agire, ma anche nel non agire.
E’ difficile capire ciò che si desidera veramente. Il sentimento di colpa in questo caso può essere un segnale del fatto che non si è agito coerentemente alla propria volontà.
Ma, come detto, non siamo onnipotenti, e la nostra volontà da sola non basta.
Ciò che conta ora è: più i nostri pensieri e le nostre azioni sono coerenti ad una volontà che sentiamo nostra, più ci sentiremo vivi.
Vivi e liberi. Molto spesso capita di non riuscire a fare una cosa, e non si sa perché. C’è una sensazione di impedimento, di blocco. E’ mancanza di libertà. C’è qualcosa che impedisce le nostre azioni e ci tiene legati come un cane al guinzaglio. Non ci sentiamo liberi poiché la nostra volontà non si riesce ad esprimere, poiché non la conosciamo.
Non si può avere libertà senza volontà.
Provate ora a connettervi con la vostra volontà, quello che volete fare davvero in questo momento. Tentate di avere questa connessione intima con voi stessi sempre, e a pensare anche alle piccole cose che desiderate, come mangiare un pò di cioccolata o fare una passeggiata.
La conoscenza della volontà ci spinge ad agire. Come se improvvisamente si accende una luce in una stanza buia e possiamo finalmente trovare ciò che stavamo cercando.
Ma la conoscenza della volontà non è cosa semplice, poiché è nascosta, e la connessione intima con essa è deviata dall’influenza che il resto del mondo esercita su di noi. Riuscire a raggiungere questa connessione è avere la più profonda conoscenza di se stessi.
Spesso non ci si riesce. A volte non la si vuole avere.
Lo stalker di Tarkovskij porta gli uomini nella “Zona”, dove essi potranno trovare, dopo un viaggio pericoloso, una stanza che fa avverare il nostro desiderio più profondo, talmente profondo e coperto dalla nostra vita sociale che non sappiamo neanche quale esso sia.
Ciò che si vuole veramente. Fa paura solo a pensarci. Io mi ritengo una persona abbastanza tranquilla. Ma se entrassi in quella stanza che succederebbe? A me? Agli altri? Al mondo?
Magari apparirebbe uno stuolo di donne dalle curve sensuali. Forse non desidero neanche starci in questo mondo, e morirei appena entrato. Forse invece il mondo rimarrebbe distrutto. O forse non accadrebbe proprio nulla.
E voi? Sapreste rispondere alla domanda: cosa voglio veramente?

lunedì 1 settembre 2008

L’Italia brucia

lunedì 1 settembre 2008

L’Italia brucia
Bruciano i lustrini
Bruciano i lampioni
Bruciano gli armadi
Bruciano gli Armani
Bruciano le facciate dei palazzi
e crollando scoprono il nulla dietro
Il ponte dei sospiri sbuffa
Il pallone è sgonfio
Re Francesco è morto
sbranato dalle bestie del Colosseo
che ringhiano e ululano nella notte
saccheggiano e stuprano la città
Il trono che riempiva ora è di nuovo vuoto
Vuoto come il cuore di un emigrante
della diaspora meridionale
E a Taormina nel teatro
i satiri preparano un sacrificio a Dioniso
mentre le membra si mescolano nell’orgia
Totò e Totò sniffano cocaina e polvere da sparo
guardando le macchine sulla A29
che lasciano strisce di sangue sull’asfalto
Un altro Totò sta nascosto sottoterra
perché a Napoli non è più aria
Il fumo acceca e penetra
tra i muri e nei polmoni
Non si respira più
L’Italia dorme e fa finta
L’Italia è un’illusione
L’Italia siamo noi
L’Italia sono io
 
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