(segue...)Riassumiamo, per sviluppare il discorso, alcune conclusioni tratte finora.
Le scienze sono il massimo compimento del dominio che la cultura occidentale ha raggiunto sulla fisicità e nello spazio. La fisica, la chimica, la biologia e la medicina sono probabilmente tra gli esempi più compiuti di scienze “fisiche” nel senso più ampio del termine. Poi ci sono altre scienze, dette “umane”, che hanno tentato, con risultati alterni, di raggiungere un pari dominio sulla fisicità. Esempi di queste sono la politica, la sociologia, l’antropologia e la psicologia. Ma queste scienze non potranno raggiungere mai un dominio completo del loro campo di studi perché esso non sta solo nella fisicità, ma comprende molto del mondo di significati di cui abbiamo parlato, che sta nella dimensione del tempo e non dello spazio.
Questa contraddizione è visibilissima nella psicologia, che ha tentato e ancora tenta di ridurre il mondo dei significati umani a processi fisiologici e neurologici. I risultati delle scienze fisiche nei loro rispettivi campi sono eccellenti e ineccepibili e si sono rivelati utili all’umanità. Nel caso della psicologia però il metodo che viene usato nelle scienze trova un muro di contraddizioni contro cui si scontra.
Io qui parlo di psicologia perché è la scienza umana che conosco meglio, ma credo che quello che dico possa essere applicato anche alle altre scienze umane.
Come abbiamo visto la psicologia non è riuscita mai a trovare le cause dei fenomeni che studia, e ha coperto questa mancanza mascherando le descrizioni che fa di questi fenomeni come spiegazioni causali. Ma descrivere qualcosa non è spiegare cosa lo ha causato. Questo succede, a mio parere, perché non abbiamo ancora una sufficiente comprensione della temporalità.
Al contrario delle scienze, quello che ha creato una maggiore comprensione del tempo per l’uomo, in tutte le culture, è l’arte in tutte le sue manifestazioni.
Essa può cristallizzare e sublimare un momento, un periodo, un istante e renderlo denso di significato, come nella scultura e nella pittura. Oppure creare una sequenza temporale studiata appositamente perché abbia una resa artistica, come nella musica, nel cinema e nel teatro. Nelle arti si “gioca” col tempo, sono il campo in cui l’uomo ha compreso meglio la dimensione temporale e come utilizzarla.
La disciplina artistica che conosco meglio è il teatro. Per un attore è molto importante la gestione della propria energia per rendere la propria rappresentazione efficace. A volte quando un attore rimane fermo spende molta più energia di quando si muove. Gli attori giapponesi del teatro Nộ e Kabuki dicono che i sette decimi dell’energia dell’attore devono essere usati nel tempo tre decimi nello spazio, perché l’energia va usata, ma in modo contenuto e indirizzato. L’attore che riesce a fare questo si dice che ha
tamè, cioè la capacità di trattenere, di conservare. In questo modo di gestire le energie si trova la differenza tra la presenza artistica e la presenza quotidiana.
La presenza teatrale vuole catturare un momento, immobilizzarlo e renderlo artistico, dunque eterno. L’arte vuole andare oltre, anche oltre la caducità della vita, e quindi sfida la mortalità.
L’arte tende all’immortalità.
E questo vale per tutte le produzioni artistiche.
Non è il mio campo, ma, per esempio,certamente i tempi nella musica sono fondamentali, sia nei ritmi che nelle melodie. E, come nel teatro e nel cinema, anche nella musica ciò che precede è legato a ciò che segue, in diversi modi e misure. C’è chi dice che il tempo non esiste, che è una convenzione. Non credo che sia stato un musicista a dirlo. Ma neanche l’impiegato, che sa bene quanto sia importante l’ora della pausa pranzo.
Vi è una storia dunque nell’arte, anche in quella “immobile” come la fotografia e la pittura. Questa arte scrive storie e le sintetizza in un’immagine fissa. D’altronde fotografare significa, dal greco φως (phos, luce) e γραφίς (graphis, grafia), “scrivere con la luce”.
Tutta l’arte, insomma, rappresenta. E’ quindi connessa ai significati. In un’opera d’arte, massimo sviluppo della creatività umana dei significati, essi sono ordinati e strutturati a seconda della volontà dell’artista. Massimo esempio perché più lontano dalla fisicità.
Come detto precedentemente, i significati si trovano nel tempo, attraverso le storie. Infatti un significato trova il proprio senso quando è ordinato coerentemente in un sistema, in una storia, che sono formate dall’unione di relazioni di significato, alcune orizzontali, altre verticali, come in una gerarchia.
Quello che voglio sottolineare è che nell’arte vi è un ordine preciso, un’armonia. O se vi è una disarmonia è solitamente intenzionale, quindi di fatto è considerabile come disarmonia solo se usiamo parametri di riferimento convenzionali.
L’arte è un ponte che dalla fisicità porta alla temporalità. Vive appunto in mezzo tra questi due mondi. E’ un prodotto fisico che, nel momento in cui viene fruito da uno spettatore, si apre verso il mondo dei significati. Infatti si serve di allegorie.
L’allegoria è lo strumento più potente dell’arte, per il suo carattere intenzionale e misterioso. Intenzionale perché l’allegoria, a differenza della metafora e del simbolo, ha un significato specifico di volta in volta, dato dall’autore. Nel simbolo e nella metafora il significato è più convenzionale e condivisibile. Nell’allegoria è presente invece l’elemento della volontà dell’autore, che rende l’opera perciò unica.
L’elemento misterioso é dato dal fatto che l’allegoria non è immediatamente manifesta. Non è “spiegata”. Non è “logica”, “razionale”, o perlomeno non solo. E’ soggetta di interpretazioni, quindi non è assoluta ma relativa. Per questa sua caratteristica pone il fruitore dell’opera in un ruolo attivo, poiché anch’egli dovrà porre la propria intenzionalità, volontà, nell’allegoria, e dunque nell’opera.
Ma sto cominciando a divagare, mi prendo una pausa con il sommo poeta.
Secondo Dante Alighieri l’arte, che vuole esprimere l’infinito, è nipote di Dio.
"...Che l’arte vostra quella, quando pote,
segue, come ‘l maestro fa ‘l discente;
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote..."In effetti la religione è un altro ponte verso la temporalità. In particolare vi è anche nelle religioni l’anelito verso l’eternità, l’infinito e l’immortalità. Arte e spiritualità sono profondamente connesse.
Ma esiste anche nella vita quotidiana questo ponte che l’arte costruisce dalla fisicità verso la temporalità?
Io, come ho già detto, credo che spazio e tempo non siano realmente divisibili. Mi soffermerò ora sul concetto di partitura, presente in musica e nel teatro contemporaneo.
Specialmente il concetto di partitura del teatro ci può venire in aiuto. La partitura di un attore è la sua sequenza, ciò che deve preparare per poter andare in scena: gesti, frasi, canti e quant’altro, uniti in modo coerente. Saranno l’opera d’arte nell’opera d’arte del vero e proprio spettacolo.
L’importante è capire come la fisicità sia unita alla temporalità nelle partiture. C’è una sequenza studiata di azioni e questa sequenza ha senso nel tempo. Ogni azione è preludio di un’altra e ne da il senso. Le partiture sono studiate al dettaglio, per fare in modo di dare un determinato effetto allo spettatore. Una sorpresa, una conferma, un sentimento di paura, di affetto, di rabbia, e così via. Il concetto sarebbe più complesso, ma non parliamo di tecniche teatrali qui.
E’ da una sequenza, da un continuo gioco di premesse (vista sul passato) e previsioni (vista sul futuro) che diamo significato a ciò che ci circonda.
Mettiamola così: se non ci fosse il tempo, al cinema non vedremmo una sequenza di immagini, ma tutti i fotogrammi contemporaneamente, in statica e senza relazione. Anche un dipinto, seppur fermo, ha la sua temporalità. Non è fisso e morto, è vivo ed in movimento.
Matisse: “L’immobilità non è un ostacolo al sentire il movimento: è un movimento che non comporta i corpi degli spettatori, ma la loro mente”.
Secondo Leonardo da Vinci se una figura dipinta è priva di dinamicità, essa è doppiamente morta, perché è una finzione e perché non mostra movimento ne di mente ne di corpo.
Sebbene senza pretese artistiche, questi concetti si ritrovano in tutti gli aspetti della vita.
Il tempo è ciò che rende unita una serie di immagini fisse. Dunque, è ciò che ci permette di dare significato alle cose.
Immaginiamo un mondo senza la temporalità: questo mondo non avrà relazioni al suo interno, sarà una massa senza significato. Non potremmo neanche pensare senza il tempo, non ne avremmo il tempo.
Anche le stesse relazioni causa-effetto non esisterebbero, poiché appunto la causa viene prima e poi viene l’effetto. Non esisterebbe il cambiamento, poiché un cambiamento presuppone un prima e un dopo. Non potremmo neanche pensare, perché un pensiero ha bisogno del tempo per svilupparsi.
Quindi niente pensiero, e neanche nessuna mente. Cervelli quanti volete, ma menti neanche una. Neanche le capacità di categorizzazione e differenziazione, che di fatto sono ciò che sta alla base di tutti i processi di pensiero. Del resto se vuoi categorizzare una cosa, ne devi avere almeno due: che senso avrebbe altrimenti categorizzarla, se fosse tutto un’unità indefinita? Non ci sarebbe nulla da definire. Per definire bisogna differenziare, perciò bisogna usare una procedura di pensiero, ma senza il tempo non c’è procedura.
Per analizzare il problema mente/corpo, dunque, ho proceduto per via negativa, cercando di eliminare ciò che non era necessario a definire una mente e un processo mentale. Ciò che ho scoperto mediante questa procedura di negazioni è che lo zoccolo duro della mente è il tempo.
(continua...)