sabato 13 settembre 2008

La dimensione della mente, il tempo: parte I. Psicologie: cause e significati

sabato 13 settembre 2008

Il nostro modo di concepire e spiegare il mondo è simile a quello delle scienze naturali. Queste, infatti, spiegano i fenomeni mediante relazioni di causa-effetto. Se ci chiediamo il perché di un qualsiasi evento, andremo a cercarne la causa che lo ha provocato. Questo modo di pensare è chiamato meccanomorfismo, proprio perché gli eventi sono lungo una catena di eventi causa-effetto, come all’interno di una grande macchina che funziona con determinati meccanismi prestabiliti.
Perciò anche le nostre azioni hanno una causa, e risalendo di causa in causa si arriverà ad un Big Bang madre di tutte le cause. Le nostre azioni sono quindi il frutto di concatenazioni di eventi causali e tutto è spiegabile mediante questi nessi. Anche il mio scrivere qui è frutto di questo meccanismo, che è inevitabile e necessario.
Questo è il modo di pensare delle scienze classiche. Esiste un metodo scientifico ed obiettivo per spiegare la realtà. Questa realtà è ontologicamente esistente al di fuori di noi, ed è conoscibile mediante metodologie empiriche. Lo scienziato, utilizzando queste metodologie, dovrà tener conto solo dell’evidenza sensoriale.
Le scienze, così, hanno spiegato milioni di fenomeni, misurato distanze, costruito meccanismi, eccetera. E se ci sono eventi non ancora spiegati, questo vuol dire che le nostre metodologie e di studiarli non è ancora adeguato. Quindi la spiegazione c’è, ma ancora non siamo pronti a scoprirla.
Anche la scienza psicologica vuole spiegare i fenomeni mediante relazioni di causa-effetto. Questo però ha creato innumerevoli problemi alla psicologia, non solo metodologici, ma anche e soprattutto epistemologici. Cos’è la psicologia? Qual è il suo oggetto di studio? Cos’è la psiche? Cos’è la mente?
Misurare l’altezza con un metro è cosa piuttosto semplice. Voler misurare la tristezza, l’estroversione, l’intelligenza con metodi obbiettivi è cosa invece piuttosto ardua. Infatti in psicologia non abbiamo un metodo univoco per misurare queste caratteristiche. Ad esempio ci sono molti test d’intelligenza, che utilizzano domande differenti per poi giungere a differenti punteggi, non confrontabili fra loro. I punteggi delle scale d’intelligenza, così come quelli di altre scale che misurano altri aspetti psicologici, sono delle brutte copie mal utilizzate del metro per l’altezza. Poi il concetto d’intelligenza cambia da test a test. In questo caso infatti possiamo vedere come i problemi stiano proprio alla base. Non si è d’accordo neanche su cos’è l’intelligenza. Come possiamo misurarla allora, e pretendere di essere obiettivi?
Un altro caso importante è quello della psicologia clinica. Infatti essa è perlopiù basata su modelli medici, ovvero esistono delle malattie mentali che hanno un’eziologia, un decorso e un esito. Insomma anche qui si è all’interno di una visione meccanomorfica, con relazioni causa-effetto. Ma qui cominciano i guai, perché in effetti le cause non si riescono mai a trovare in maniera effettivamente obbiettiva e scientifica. Per esempio la causa della depressione può essere un lutto familiare. Ma non tutti i lutti familiari portano ad una depressione, che può derivare da molte altre circostanze, può non dipendere da un evento visibile. E così anche altri aspetti della psicologia clinica. Voglio dire che si vuole cercare un meccanismo causale simile a quello che porterebbe ad una malattia organica, come una febbre. Ma questo meccanismo sfugge, cambia da caso a caso, non si trovano delle cause certe e dei processi comuni.
Un altro problema della clinica è che spesso si cade nell’errore di fare delle tautologie: “come mai sei depresso? Perché sono triste”. “Perché sei triste? Perché sono depresso.” E’ molto semplificato ed ironizzato, ma a conti fatti quello tra virgole può essere un riassunto di quello che dice il maggiore manuale di psicodiagnosi, il DSM-IV.
Il problema quindi sta alla radice, è il dualismo mente-corpo, che non è stato mai risolto. Nell’ultimo secolo poi si è molto cercato di ridurre la mente al corpo, almeno per ora inutilmente.
Volendo competere con altre scienze dalle basi già consolidate, si sono usate teorie, termini e metodologie spesso fuorvianti e non adatti.
E’ evidente, dunque, che lo studio della psiche ha dei problemi d’identità, e per una scienza che si propone invece di risolverli è il colmo. Negli ultimi anni però diversi studiosi stanno cercando di dare alla psicologia delle basi epistemologiche solide, dirigendosi verso altre direzioni poco esplorate.
La nuova prospettiva epistemologica è quella propria delle scienze postmoderne. Il cambio di prospettiva è semplice ma decisivo, in quanto si afferma che per la psicologia le relazioni di causa e il meccanomorfismo non sono adatti a spiegare gli eventi psichici. Questi invece hanno un altro genere di relazione: la relazione di significato. Ciò vuol dire che questi eventi non sono riconducibili ad eventi fisici, ma hanno un’altra realtà a loro peculiare. Le persone agiscono in base al senso che si da alle cose, alle emozioni legate ad esse, ai ricordi, al contesto, eccetera.
Secondo l’interazionismo simbolico le persone agiscono verso le cose sulla base di un significato, e questo sorge dall’interazione sociale. Il significato quindi è sempre in continua creazione e modificazione. La fucina in cui prendono vita i significati è il confronto con l’alterità, con l’altro da sé, che avviene nell’interazione con il mondo che ci circonda. Attraverso l’interpretazione poi i significati vengono modificati.
La psicologia ha allora il compito di studiare i significati che guidano le azioni degli individui. Qui si vede come questa visione antropomorfica si opponga al determinismo meccanomorfico: le azioni degli individui non sono frutto di una serie di meccanismi di causa. La realtà fisica è diversa da quella simbolica. Vi offro un esempio che mi è stato fornito durante una lezione universitaria, molto calzante: entriamo in una cucina e sentiamo un profumo delizioso. Ne cerchiamo la fonte e quando la troviamo ci accorgiamo che è un topo arrostito. A questo punto ci passa completamente l’appetito. Eppure la realtà fisica è di un altro avviso, la nostra percezione olfattiva ci dice che quel topo ha un buon odore, e magari anche un buon sapore. Poi gli facciamo anche un’analisi approfondita e scopriamo che è pulito e commestibile. Perché non lo mangiamo? Perché quel topo, nella nostra società, corrisponde ad un significato ben lontano dalla parola commestibile e men che meno dalla parola appetitoso. Qui vediamo come il comportamento umano e la psicologia possano essere molto più facilmente spiegati mediante relazioni di significato tra idee, piuttosto che da meccanismi puramente fisici.
Non intendo assolutamente negare solipsisticamente l’idea di un mondo fisico e dire che tutto è un’illusione, non è mio obiettivo neanche occuparmi dell’esistenza di un mondo fisico. Quello che voglio mettere in evidenza è il fatto, esista o meno un mondo fisico, che viviamo muovendoci tra più dimensioni, tra cui quella fisica è solo una delle tante.

(continua...)

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